IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                           Sezione Seconda 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale n. 9422 del 2011,  proposto  da:  Soc.  Sky  Italia
S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.  Luisa  Torchia  e  Roberto
Mastroianni, con domicilio eletto presso Studio Legale  Torchia  Avv.
Luisa e Altri Stp in Roma, via Sannio, 65; 
    Contro   Autorita'   per   le   Garanzie   nelle   Comunicazioni,
rappresentata e  difesa  per  legge  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
    Nei confronti di Maria Iaccarino; Soc. Reti  Televisive  Italiane
S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Stefano Previti e  Giuseppe
Rossi, con domicilio eletto presso l'avv. Stefano  Previti  in  Roma,
via Cicerone, 60; 
    e con l'intervento di ad  opponendum:  Ministero  dello  sviluppo
economico, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura  generale
dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
    Per l'annullamento: 
        della delibera n. 233/11/CSP dell'Autorita' per  le  Garanzie
nelle  Comunicazioni  (di  seguito  «Agcom  o   Autorita'»,   recante
«Ordinanza  -  ingiunzione  alla  Societa'  SKY   S.r.l,   (emittente
satellitare pagamento Sky Sport 1) per la  violazione  dell'art.  38,
comma 5, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177»,  pubblicata
sul sito web dell'Autorita' in data 26 settembre 2011 e notificata  a
Sky Italia s.r.l. in pari data; 
        di ogni altro atto connesso, presupposto e/o  consequenziale,
quand'anche sconosciuto. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio di  Autorita'  Per  Le
Garanzie Nelle Comunicazioni e di Soc. Reti Televisive Italiane Spa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 dicembre  2013  dott.
Salvatore Mezzacapo e uditi per le parti i difensori come specificato
nel verbale; 
    La presente controversia trae origine  dal  procedimento  avviato
dall'Autorita' per  le  Garanzie  nelle  comunicazioni,  al  fine  di
accertare la violazione da parte di Sky dell'art. 38,  comma  5,  del
d.lgs. n.  177/2005,  in  relazione  al  superamento  dei  limiti  di
affollamento pubblicitario avvenuto  in  data  5  marzo  2011,  nella
fascia oraria 21 - 22. 
    In particolare, Sky Sport 1, nelle suddette date e fascia oraria,
ha trasmesso 24 spot pubblicitari, per una durata di 10  minuti  e  4
secondi, pari ad una percentuale oraria del 16,78% (ridotta al 16,44%
mediante la detrazione dei c.d. frames neri). 
    La norma summenzionata, come modificata dal d.lgs. 10 marzo 2010,
n. 44 prevede  infatti  che  la  trasmissione  di  spot  pubblicitari
televisivi da parte di emittenti a pagamento  (come  la  ricorrente),
non puo' eccedere «per l'anno 2010 il 16%, per l'anno 2011 il 14%, e,
a decorrere dall'anno 2012, il 12% di una determinata e distinta  ora
d'orologio; una eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2% nel
corso  dell'ora,  deve  essere  recuperata  nell'ora  antecedente   o
successiva». 
    Il procedimento, nonostante le argomentazioni difensive spese  da
Sky,  si  e'  concluso  con  la  sanzione  oggetto   della   presente
impugnativa. Essa, evidenzia la ricorrente, costituisce  applicazione
di una norma inserita nel Capo V del Testo Unico dei Servizi di Media
audiovisivi e radiofonici, dall'art.  12,  comma  5,  del  d.lgs.  n.
44/2010, con la quale, per la  prima  volta,  sono  stati  introdotti
tetti orari di affollamento pubblicitario piu' restrittivi di  quelli
ai quali Sono soggette le emittenti televisive in chiaro. 
    La novella legislativa introdotta con il decreto  c.d.  «Romani»,
non troverebbe pero' base alcuna ne' nella legge nazionale di delega,
ne', tantomeno, nelle norme comunitarie di riferimento. 
    Infatti il decreto in questione e' stato adottato  in  attuazione
delle delega contenuta nell'art.  26  della  legge  comunitaria  2008
(legge 7 luglio 2009, n.  88),  la  quale,  a  sua  volta,  e'  stata
conferita al fine  di  dare  attuazione  alla  direttiva  comunitaria
2007/65/CE sui servizi di media audiovisivi. 
    Tali fonti, pero', non dispongono  alcunche'  circa  i  tetti  di
affollamento  pubblicitario  da  applicarsi   nei   confronti   delle
emittenti televisive a pagamento. 
    Cio'  premesso,  la  ricorrente  deduce  i  seguenti  motivi   di
impugnativa: 
    1. Eccesso di potere per carenza  di  istruttoria  e  difetto  di
motivazione.  Sviamento  di  potere  per  illogicita'  manifesta   e'
contraddittorieta'. 
    La   societa'   ricorrente   si   duole,    in    primo    luogo,
dell'insufficiente approfondimento condotto dall'intimata  Autorita',
la quale avrebbe omesso di  verificare  l'effetto  restrittivo  della
norma nazionale applicata e l'effetto  discriminatorio  a  svantaggio
delle emittenti a pagamento. 
    Contesta, in particolare, la  motivazione  offerta  da  AGCOM  la
quale ha individuato la  ratio  della  differenziazione  operata  dal
legislatore  delegato  nell'esigenza  di  una  (particolare)   tutela
dell'utenza delle seconde. Sky evidenzia  pero'  che'  ne'  le  norme
comunitarie ne' quella nazionali di delega, fanno cenno alcuno ad una
differenziazione siffatta. 
    In particolare, la prospettata esigenza di tutela specifica degli
utenti delle piattaforme televisive a pagamento, non si rinviene  ne'
nella  citata  direttiva  2007/65/CE,  ne',  a  ben   vedere,   nella
giurisprudenza comunitaria citata dall'Autorita' (la  sentenza  della
Corte di Giustizia del 23 ottobre 2003, RTL  Television,  causa  C  -
245/01). 
    Pure errato sarebbe il riferimento al fatto che  l'abbonato  alle
emittenti  a  pagamento  versa  un  corrispettivo  in   quanto   tale
circostanza non rende per cio' solo piu' intollerabile  l'esposizione
al messaggio pubblicitario. Il vero fine della misura sarebbe percio'
esclusivamente quello di consolidare e preservare la posizione  delle
emittenti free, nella raccolta pubblicitaria. 
    2. Violazione di  legge.  Violazione  e  falsa  applicazione  del
diritto dell'Unione europea. Violazione del principio della  primazia
del diritto dell'Unione europea e  del  conseguente  obbligo  per  le
autorita' amministrative di disapplicare le disposizioni del  diritto
interno in caso di conflitto con una norma  del  diritto  dell'Unione
europea dotata di efficacia diretta (trattato UE, art. 4, n. 3). 
    La direttiva del Parlamento e del  Consiglio  n.  2010/13/UE  sui
servizi di media audiovisivi (c.d. «direttiva SMAV») ha provveduto  a
codificare il  testo  della  precedente  direttiva  89/552/CEE  (c.d.
«televisioni senza frontiere»), modificata da ultimo dalla  direttiva
2007/65/CE. 
    AGCOM, nel caso di specie, si e' ritenuta incompetente a delibare
la conformita' al diritto europeo delle  norme  nazionali.  Tuttavia,
sottolinea la ricorrente,  l'obbligo  di  disapplicazione  non  grava
esclusivamente sui giudici nazionali, bensi' su  tutte  le  autorita'
dello  Stato,  sia  amministrative  che  indipendenti.  Richiama,  al
riguardo, il noto caso di cui alla sentenza della Corte di  Giustizia
del 9 settembre 2003, Consorzio  Industrie  Fiammiferi  (CIF)  contro
Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato, Causa C -  198/01,
in cui la Corte di Giustizia ebbe ad affermare che tra  le  autorita'
nazionali  soggette  all'obbligo  di  disapplicazione  figura   anche
l'Autorita' Garante della Concorrenza e del  Mercato.  Tale  obbligo,
prosegue Sky, sussiste anche nel caso in cui l'Organo  amministrativo
sia chiamato a valutare l'idoneita' e proporzionalita'  della  misura
adottata  dallo  Stato  membro  in  deroga  alla  regola  di  diritto
dell'Unione. 
    3. Violazione e falsa applicazione della Direttiva 2010/13/UE del
Parlamento e del Consiglio sui servizi di media audiovisivi (artt.  4
e 23). Violazione del principio di uguaglianza. Eccesso di potere per
difetto  dei  presupposti,  difetto  di  motivazione  ed  illogicita'
manifesta. L'art. 23, par. 1, della direttiva in rubrica (la quale ha
sostanzialmente confermato la previgente direttiva. 89/552/CEE  (c.d.
«televisioni  senza  frontiere»),  prevede,   a   regime,   che   «la
percentuale di spot televisivi  e  di  spot  di  televendita  in  una
determinata ora d'orologio non deve superare il 20%». 
    Tali disposizioni sono ispirate dalla  finalita'  di  operare  un
bilanciamento tra il diritto degli operatori di scegliere la  propria
programmazione nonche' di accesso alla raccolta  pubblicitaria  quale
fonte  di  finanziamento,  e  la  necessita'  di  evitare,  a  tutela
dell'utente, un eccesso di pubblicita' commerciale. 
    In  alcuna  parte  di  tale  direttiva  e'  possibile   rinvenire
disposizioni che distinguano le trasmissioni  televisive  diffuse  in
chiaro da quelle diffuse a pagamento. 
    Al contrario, i  «considerando»  n.  8  e  n.  80,  richiamano  i
principi di tutela della concorrenza e del pluralismo, di neutralita'
tecnologica e di parita' di trattamento. 
    Sia  la  direttiva  in  esame  che  quella   precedente,   recano
disposizioni di «armonizzazione minima»  delle  regole  nazionali  in
materia di servizi audiovisivi, e prevedono, pertanto, che gli  Stati
membri possano derogare alle regole comuni richiedendo  ai  fornitori
di servizi di media soggetti alla propria giurisdizione  il  rispetto
di  norme  piu'  particolareggiate  o  piu'  rigorose,  nei   settori
coordinati dalla direttivi. (art. 4, par. 1). E' richiesto, tuttavia,
che tali norme siano conformi al diritto dell'Unione. 
    In Italia, come gia' evidenziato, il decreto Romani ha optato per
una  disciplina  differenziata,  imponendo  alle  sole  emittenti   a
pagamento limiti di  affollamento  pubblicitario  sensibilmente  piu'
ridotti rispetto alle emittenti in chiaro  (a  regime,  sino  al  12%
orario). 
    Secondo Sky, la direttiva non consente siffatta  discriminazione,
come dimostrato dal fatto che, nella prassi, gli altri Stati  membri,
pur prevedendo norme piu'  particolareggiate  o  rigorose  di  quelle
stabilite  in  sede  europea,  non  hanno  tuttavia  operato   alcuna
differenziazione in base alla natura delle emittenti. 
    Al riguardo, non costituirebbe  idoneo  termine  di  paragone  la
disciplina  relativa  alla  concessionaria  del   servizio   pubblico
radiotelevisivo,  in  quanto  la  stessa  mira   a   preservarne   la
connotazione non commerciale nonche' la natura dell'attivita' svolta,
assimilabile ai servizi di interesse generale (cfr. il Protocollo  n.
29  sul  Sistema  di  radiodiffusione  pubblica  negli  Stati  membri
allegato al Trattato di Lisbona). 
    Nel caso di specie la normativa italiana  contrasta  poi  con  il
fondamentale principio di eguaglianza,  da  tempo  consolidato  nella
giurisprudenza della Corte di  Giustizia  ed  oggi  codificato  dagli
artt. 20 e  21  della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
Europea. L'adozione  di  una  disciplina  differenziata  rispetto  ad
emittenti che svolgono la medesima attivita' - ovvero, la diffusione,
previo pagamento,  di  comunicazioni  commerciali  audiovisive  nella
forma degli spot televisivi - e  che  operano  nel  medesimo  mercato
della raccolta pubblicitaria televisiva (Sky richiama,  al  riguardo,
un'indagine   conoscitiva    del    settore    televisivo    condotta
dall'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato), si  pone  in
frontale contrasto con tale principio. 
    Quanto poi all'esigenza di tutelare specificamente l'utente della
pay tv dal «disvalore  dovuto  all'interruzione  pubblicitaria»,  nel
corso della visione di un programma, per il solo fatto  che  l'utente
stesso ha gia' versato un compenso, la ricorrente evidenzia, in primo
luogo,  che   siffatta   analisi   economica   e'   inficiata   dalla
considerazione che l'abbonamento alla pay tv e', a monte, una  libera
scelta del consumatore, di talche'  una  misura  protezionistica  del
genere di quella in esame risulta del tutto sproporzionata ed  incide
in maniera ingiustificata sulla liberta' di iniziativa economica  dei
fornitori di servizi di media, italiani e  stranieri,  soggetti  alla
giurisdizione italiana. 
    La  particolarita'  del  mercato  della  raccolta   pubblicitaria
televisiva  consiste  nel  fatto  che  corrispettivo  versato   dagli
inserzionisti che acquistano gli spazi  televisivi  rappresenta  allo
stesso  tempo  il  corrispettivo  per  il  servizio   fornito   dalle
emittenti. Ed e' la c.d. «audience share»  a  determinate  il  prezzo
delle inserzioni pubblicitarie. La soggezione degli  spettatori  alla
pubblicita', pertanto, rileva come disutilita' che puo'  influire  su
tale parametro. 
    Al  riguardo,  pero',  la  suddetta   indagine   conoscitiva   ha
dimostrato  che  la  stessa  consegue  non  gia'  alla  quantita'  di
pubblicita' totale trasmissibile ma alle interruzioni in se'. 
    Ad ogni buono conto, Sky evidenza che l'esigenza  di  tutela  del
consumatore e' la medesima, sia con riguardo alle emittenti pay che a
quelle free (queste ultime, peraltro,  aventi  un  bacino  di  utenza
assai piu' vasto). 
    La medesima sproporzione si apprezza con riguardo alla tutela del
pluralismo  e  della  concorrenza,  risultandone  ingiustificatamente
compressa la liberta' di iniziativa e di scelta delle sole pay tv  e,
per converso,  ulteriormente  potenziata  la  posizione  sul  mercato
nazionale della raccolta pubblicitaria  di  quei  soggetti  che  gia'
detengono sul medesimo  mercato  una  posizione  dominante  anche  in
ragione dei tetti di affollamento  pubblicitario  orario  piu'  bassi
imposti al concorrente RAI e che, ora,  vengono  imposti  anche  alle
emittenti a pagamento. 
    Non esistono, inoltre, precedenti comunitari  conformi,  giacche'
la sentenza invocata dall'Autorita' (23 ottobre 2002, in  causa  C  -
245/01, Rtl Television), non e' pertinente al caso di specie. 
    4.  Violazione  degli  artt.  49,  56  e  63  del  Trattato   sul
funzionamento  dell'Unione  europea  (TFUE)  in  materia  di   libera
prestazione  dei  servizi,  liberta'  di  stabilimento,  liberta'  di
circolazione di capitali. 
    Premesso che la trasmissione di messaggi pubblicitari, cosi' come
l'offerta di spazi pubblicitari  ad  inserzionisti,  rientrano  nella
nozione di «servizi»; ai sensi dell'art. 56  del  TFUE,  Sky  ricorda
come il diritto alla  libera  prestazione  dei  servizi  puo'  essere
invocato da un'impresa nei confronti dello Stato membro in  cui  essa
e' stabilita quando i servizi sono forniti a destinatari stabiliti in
un altro Stato membro, o, piu' in generale, in tutti i casi in cui un
prestatore offra i propri servii nel territorio di uno  Stato  membro
diverso da quello in cui esso ha sede. 
    La disciplina in esame ostacola, o, comunque, limita, la  vendita
di spazi pubblicitari  ad  inserzionisti  stabiliti  in  altri  Stati
membri. 
    Si verifica, inoltre, un effetto distorsivo, dovuto al fatto che,
per effetto dell'abbassamento dei tetti di affollamento  orario,  gli
inserzionisti e le agenzie di media  preferiranno  rivolgere  i  loro
investimenti a lungo termine verso  emittenti  che  offrono  maggiori
opportunita' di visibilita' ed esposizione al pubblico. 
    La misura controversa rende meno appetibile la piattaforma di Sky
per  i  canali  editi  da  soggetti  emittenti  terzi  che   vogliano
avvalersene, non potendo queste ottenere  in  Italia,  attraverso  la
vendita  di  spazi  pubblicitari,  i  medesimi   vantaggi   economici
consentiti in base alla precedente disciplina. 
    Pure violato appare l'art. 49 del TFUE relativo alla liberta'  di
stabilimento, atteso che la disciplina in esame rende meno  attraente
l'ingresso di emittenti di altri paesi membri nel mercato  televisivo
italiano, stante la riduzione delle risorse derivanti  dalla  vendita
degli spazi pubblicitari. 
    Eguale disincentivo sussiste per soggetti che, stabiliti in altri
stati membri vogliano investire in una societa' stabilita  in  Italia
che opera nel settore delle trasmissioni a pagamento (art. 63 TFUE). 
    Vero e' che la tutela dei consumatori contro  gli  eccessi  della
pubblicita' commerciale, ovvero la finalita' di mantenere  una  certa
qualita' dei programmi costituiscono motivi imperativi  di  interesse
generale che possono giustificare restrizioni alla libera prestazione
dei servizi. 
    Rimane tuttavia da  spiegare  perche',  in  base  alla  normativa
italiana, debbano  essere  maggiormente  tutelati  gli  utenti  delle
emittenti a pagamento, ove si consideri che l'intera categoria  degli
utenti/spettatori appare meritevole di uguale tutela e che, comunque,
le emittenti free, raggiungono un numero di utenti assai piu' ampio. 
    Le  distorsioni  indotte  dalla  misura  in  esame,  per  contro,
appaiono in grado di pregiudicare il pluralismo e la concorrenza  del
settore. 
    5. Violazione  dell'art.  11  della  Carta  Europea  dei  diritti
fondamentali e dell'art. 10 della  Convenzione  Europea  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali.  Violazione  dell'art.  117,
comma 1, della Costituzione. 
    La  liberta'  di   informazione   e'   consacrata   anche   dalle
disposizioni in rubrica. Pertanto, ogni intervento  autoritativo  che
incida   sulla   liberta'   dell'emittente   di   decidere   la   sua
programmazione, deve essere  giustificato  dall'esigenza  di  offrire
tutela ad un interesse avente pari dignita'. 
    La disparita' di trattamento determinata dalle misure  in  esame,
realizza, invece, una grave lesione del principio pluralistico. 
    Pure vulnerato appare il c.d. «diritto ad essere  informati»,  in
quanto le stesse contribuiscono a consolidare la posizione dominante,
sul mercato della raccolta pubblicitaria,  del  gruppo  Mediaset,  il
quale (secondo dati di ottobre 2011), possiede una quota pari al  56%
mentre i concorrenti Rai e Sky detengono  rispettivamente  quote  del
22% e del 4%. 
    Secondo la  giurisprudenza  della  Corte  Europea,  un  eccessivo
accumulo di introiti pubblicitari  in  capo  a  pochi  soggetti  puo'
provocare una  lesione  del  principio  pluralistico  (Sky  cita,  in
particolare, la sentenza del 28 giugno 2001 Tierfabriken c. Svizzera,
Application n. 24699/94). 
    La Carta Europea dei diritti fondamentali  costituisce  parametro
di  legalita'  del  comportamento  del  legislatore  nazionale   ogni
qualvolta esso agisca per dare attuazione al diritto dell'Unione. 
    Nel caso in esame, e' stata invece inferta una chiara lesione  al
principio del pluralismo dell'informazione. 
    Al fine di chiarire la portata  delle  disposizioni  del  diritto
dell'Unione europea, la ricorrente  ha  richiesto  espressamente  che
vengano sottoposti alla Corte di Giustizia  dell'Unione  europea,  ai
sensi dell'art. 267 TFUE, i seguenti quesiti pregiudiziali: 
    «Dica  la  Corte  se  l'art.  4   della   direttiva   2010/13/UE,
interpretato  alla  luce  del  considerando  n.  41  della   medesima
direttiva, il principio generale  di  uguaglianza  e  le  regole  del
Trattato in materia di libera circolazione dei servizi,  del  diritto
di stabilimento e  di  libera  circolazione  dei  capitali  siano  da
interpretare nel senso che ostano ad  una  disciplina,  quale  quella
contenuta nell'art. 38, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2005, che  nel
modificare regole precedenti non  discriminatorie  impone  limiti  di
affollamento pubblicitario sensibilmente piu' bassi per le  emittenti
a pagamento rispetto a quelli in vigore per le emittenti in chiaro»; 
    «Dica la Corte se l'art. 11 della Carta sui diritti  fondamentali
dell'Unione  Europea,  interpretato  alla  luce  dell'art.  10  della
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali e della giurisprudenza della. Corte europea dei
diritti dell'uomo, ed in  particolare  il  principio  del  pluralismo
dell'informazione, osti ad una disciplina, quale contenuta  nell'art.
38, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2005, che, pure in presenza di una
posizione dominante nel mercato della pubblicita' televisiva e lesiva
del pluralismo,  detenuta  dal  principale  operatore  nell'emittenza
televisiva in chiaro, introduce limiti di affollamento  pubblicitario
piu' bassi per le emittenti a pagamento rispetto a  quelli  applicati
alle emittenti in chiaro». 
    6. In  subordine.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  38,
comma 5, del d.lgs. n. 177/2005 per  violazione  dell'art.  76  della
Costituzione.  Illegittimita'  costituzionale  per  violazione  degli
articoli 3, 41, 117 e 21 della Costituzione. Violazione dei  principi
costituzionali in materia di pluralismo. 
    Nell'ipotesi in cui questo TAR ritenga di  non  potere  procedere
alla  disapplicazione  dell'art.  38,  comma  5,  del  Tusmar  e   al
conseguente annullamento del provvedimento impugnato, Sky  chiede  di
sollevare la questione di costituzionalita' della norma dinanzi  alla
Corte Costituzionale. 
    6.1. Sulla violazione dell'art. 76 della. Costituzione in materia
di delega legislativa. 
    La delega legislativa che viene in rilievo nel caso di specie  e'
quella contenuta nella legge comunitaria 2008 (legge n. 88/2009). Per
quanto qui rileva, il d.lgs. n. 44/2010 ha sostituito, con l'art. 12,
l'art.  38  del  Tusmar,  recante  la  disciplina   dei   limiti   di
affollamento in pretesa attuazione della direttiva  2007/65/CE  sulle
attivita' televisive. 
    Secondo Sky il decreto delegato e', in parte  qua,  afflitto  dal
vizio di eccesso di delega rispetto all'oggetto e da  violazione  dei
principi e criteri direttivi. 
    I principi e criteri direttivi si rinvengono nella. direttiva  da
attuare, nonche' nella stessa legge  comunitaria,  all'art.  2  e  26
(quest'ultimo recante criteri specifici relativi alla disciplina  del
c.d. product placement). 
    L'art. 2, comma l, lett. e) circoscrive  l'oggetto  della  delega
alle modifiche che la direttiva del 2007 ha apportato alla  direttiva
del 1989 (tanto che il legislatore delegato ha inserito le  modifiche
nel d.lgs. n. 177/2005, nel quale era stata trasfusa la disciplina di
attuazione della direttiva del 1989). 
    La norma delegata di cui verte e', da un lato, non occorrente  ai
fini dell'attuazione della direttiva, dall'altro  eccedente  rispetto
all'oggetto della delega. 
    In  alcuna  parte  di  tali  fonti  si  trova,   infatti,   alcun
riferimento alla possibilita'  di  differenziare  la  disciplina  dei
limiti di affollamento tra emittenti  televisive  a  pagamento  e  in
chiaro. 
    Sky richiama, al riguardo, numerosi precedenti in  cui  la  Corte
costituzionale ha chiarito natura, e limiti  del  potere  legislativo
delegato. 
    La natura innovativa della norma preclude anche  la  possibilita'
di ricondurla ad una ipotesi di delega di coordinamento. Tali ipotesi
sono infatti ammesse dalla giurisprudenza costituzionale solo in  via
strumentale, quando sia necessario coordinare la normativa previgente
con  quella  introdotta  con  la  legge  di  delega,   mentre   resta
sicuramente esclusa la possibilita'  di  introdurre  per  questa  via
innovazioni sostanziali alla disciplina. 
    La «revisione», o il «riordino»,  in  quanto  possono  comportare
l'introduzione di innovazioni della preesistente disciplina,  esigono
la previsione di principi e criteri direttivi, idonei a circoscrivere
le scelte discrezionali del Governo. 
    6.2. Sulla violazione dei parametri costituzionali di uguaglianza
e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione e  del  diritto
di  iniziativa  economica  privata   di   cui   all'art.   41   della
Costituzione. 
    La previsione censurata confligge, altresi', con i  parametri  in
rubrica in quanto discrimina imprese che operano nel medesimo mercato
della raccolta pubblicitaria e che finisce, peraltro,  per  porre  su
piani diversi,  in  assenza  di  alcuna  ragionevole  motivazione,  i
rispettivi utenti. 
    Pure vulnerato appare il principio di ragionevolezza, non essendo
possibile reperire, all'interno del decreto Romani, ovvero  in  altra
fonte di rango legislativo, una giustificazione  logica  e  razionale
della differenziazione operata. 
    Evidente sarebbe, infine, l'incisione del diritto  di  iniziativa
economica  delle  emittenti  a  pagamento,  le  quali  subiscono  una
significativa limitazione della loro capacita' di vendita degli spazi
pubblicitari agli inserzionisti interessati, con l'ulteriore  effetto
distorsivo determinato dall'alterazione della  par  condicio  con  le
emittenti in chiaro, ora piu' appetibili  per  gli  inserzionisti  in
ragione delle maggiori opportunita' di visibilita' ed esposizione  al
pubblico. 
    6.3.  Sulla  violazione  delle  disposizioni  costituzionali   in
materia di pluralismo di cui all'art. 21  della  Costituzione,  e  di
tutela della concorrenza, di cui all'art.  117,  comma  2,  lett.  e)
della Costituzione. 
    La discriminazione realizzata, in favore  delle  emittenti  free,
delle quali viene rafforzata la  posizione  di  dominio  sul  mercato
della raccolta pubblicitaria, rende, per converso,  piu'  gravosa  la
permanenza  e,  comunque,  la  posizione  delle  emittenti  pay,  con
conseguente lesione del pluralismo interno, ed esterno,  quest'ultimo
suscettibile di essere  inciso  dalla  concentrazione  delle  risorse
tecniche ed economiche in capo a pochi soggetti. 
    Il  legislatore,  per   costante   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale,  e'  invece  tenuto  ad  impedite  la  formazione  di
posizioni dominanti e a favorire l'accesso al sistema radiotelevisivo
del massimo numero possibile di voci diverse. 
    L'alterazione   e    comunque    lo    squilibrio    dell'assetto
concorrenziale del mercato della raccolta  pubblicitaria,  confligge,
infine con le finalita' di tutela della concorrenza affidate, in  via
esclusiva, al legislatore statale, dall'art. 117, comma 2,  lett.  e)
della Carta costituzionale. 
    Si sono costituiti, per resistere, l'Autorita'  per  le  Garanzie
nella Comunicazioni e Reti televisive italiane s.p.a. 
    Tutte le parti hanno presentato documenti e memorie. 
    Con ordinanza collegiale 23  aprile  2012  n.  3639  la  Sezione,
reputando  corretto  l'ordine  di  prospettazione   delle   questioni
articolato dalla ricorrente, la quale ha chiesto, in via  principale,
la disapplicazione della normativa interna, previo  eventuale  rinvio
pregiudiziale  alla  Corte  di  Giustizia  dell'Unione  Europea,   ha
ricordato  che  «La  norma  di  cui   AGCOM   ha   fatto   pedissequa
applicazione, come gia' accennato, e' stata introdotta in  attuazione
della delega conferita al Governo dall'art. 1 della legge comunitaria
2008 (legge 7 luglio 2009, n. 88), ai fini, per quanto qui interessa,
dell'attuazione della direttiva 2007/65/CE del Parlamento  europeo  e
del  Consiglio,  dell'11  dicembre  2007,  recante   modifiche   alla
direttiva 89/552/CEE  del  Consiglio  relativa  al  coordinamento  di
determinate disposizioni legislative, regolamentari e  amministrative
degli  Stati   membri   concernenti   l'esercizio   delle   attivita'
televisive». Ha altresi' osservato che  «La  delega  contenuta  nella
legge comunitaria  2009,  come  d'uso  ai  fini  del  recepimento  di
direttive comunitarie, limita a richiamare i principi contenuti nelle
direttive stesse, ulteriormente soggiungendo che  "all'attuazione  di
direttive che modificano precedenti direttive gia' attuate con  legge
o con  decreto  legislativo  si  procede,  se  la  modificazione  non
comporta  ampliamento   della   materia   regolata,   apportando   le
corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto  legislativo  di
attuazione della direttiva modificata" e che  "nella  predisposizione
dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali  modificazioni
delle direttive comunitarie  comunque  intervenute  fino  al  momento
dell'esercizio della delega" (art. 2, comma 1, e lett. e) ed f) dello
stesso comma, legge n. 88/2009, cit.).». Pertanto,  la  Sezione,  «al
fine di stabilire se la  disciplina  di  cui  si  verte  rientri  nel
"fuoco" della delega legislativa» ha  reputato  necessario  rimettere
alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai sensi  dell'art.  267
del Trattato sul  Funzionamento  dell'Unione  Europea,  le  questioni
interpretative riportate nella citata ordinanza collegiale.  Cio'  in
quanto «la normativa comunitaria applicabile non ha un  contenuto  di
evidenza tale da non dare adito a  nessun  ragionevole  dubbio  sulla
soluzione da dare alla questione sollevata (Corte di Giustizia CE,  6
ottobre 1982, in causa C- 283/81, Cilfit». 
    Sospeso dunque il giudizio, la Sezione ha rimesso alla  Corte  di
giustizia dell'Unione europea le  questioni  interpretative:  1)  «Se
l'art.  4  della  direttiva  2010/13/UE,  il  principio  generale  di
eguaglianza e le regole del Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
Europea in materia di libera circolazione dei servizi, di diritto  di
stabilimento, e di libera circolazione dei capitali,  debbano  essere
interpretati nel senso che ostano alla disciplina contenuta nell'art.
38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005, la quale prescrive limiti  orari  di
affollamento pubblicitario piu' bassi per le  emittenti  a  pagamento
rispetto a quelli stabiliti per  le  emittenti  in  chiaro»;  2)  «Se
l'art. 11 della Carta dei Diritti fondamentali  dell'Unione  Europea,
interpretata alla luce dell'art. 10 della Convenzione Europea per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,  e
della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ed in
particolare il principio  del  pluralismo  dell'informazione,  ostino
alla disciplina contenuta nell'art. 38, comma 5, d.lgs.  n.  177/2005
la quale prescrive limiti orari di  affollamento  pubblicitario  piu'
bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le
emittenti in chiaro introducendo  una  distorsione  concorrenziale  e
favorendo  la  creazione,  ovvero  il  potenziamento,  di   posizioni
dominanti nel mercato della pubblicita' televisiva». 
    Con sentenza 18 luglio 2013 la  Corte  di  giustizia,  dopo  aver
ricordato che la direttiva 89/552/CEE del Consiglio,  del  3  ottobre
1989, la cui versione modificata e' stata codificata dalla  direttiva
sui  servizi  di  media   audiovisivi,   «non   ha   come   obiettivo
un'armonizzazione completa delle norme relative ai  settori  da  essa
disciplinati, ma stabilisce prescrizioni minime per  le  trasmissioni
aventi la loro  origine  nell'Unione  europea  e  che  devono  essere
captate nella medesima», conservando gli Stati membri, «per garantire
un'integrale ed adeguata protezione degli interessi  della  categoria
di  consumatori  costituita  dai  telespettatori»,  «la  facolta'  di
richiedere ai fornitori  di  servizi  di  media  soggetti  alla  loro
giurisdizione di  rispettare  norme  piu'  particolareggiate  o  piu'
rigorose  e,  in  alcuni  casi,  condizioni  differenti  nei  settori
coordinati da tale direttiva, purche' tali norme  siano  conformi  al
diritto dell'Unione e, in particolare, ai suoi principi generali»  ha
affermato che «l'articolo 23, paragrafo 1, della suddetta  direttiva,
il quale prevede che la percentuale di spot televisivi pubblicitari e
di spot di televendita in una determinata ora  d'orologio  non  debba
superare il 20%, non esclude che, al di sotto di tale soglia del 20%,
gli  Stati   membri   impongano   limiti   diversi   all'affollamento
pubblicitario televisivo a seconda  che  si  tratti  di  emittenti  a
pagamento o di emittenti in chiaro, sempre che le norme che impongono
tali limiti siano conformi al diritto dell'Unione e, in  particolare,
ai suoi  principi  generali,  tra  i  quali  figura  segnatamente  il
principio  della  parita'  di  trattamento,  nonche'  alle   liberta'
fondamentali garantite dal Trattato.» Con  specifico  riferimento  ai
principi e  agli  obiettivi  delle  norme  relative  all'affollamento
pubblicitario televisivo stabilite  dalle  direttive  in  materia  di
fornitura di servizi di media audiovisivi, la Corte ha  rilevato  che
siffatte norme mirano ad  instaurare  una  tutela  equilibrata  degli
interessi   finanziari   delle   emittenti   televisive    e    degli
inserzionisti, da un lato, e degli interessi  degli  aventi  diritto,
ossia gli autori e i realizzatori, e della categoria  di  consumatori
rappresentata dai telespettatori,  dall'altro,  osservando  che  «nel
caso di specie...l'equilibrata tutela di tali  interessi  e'  diversa
per le emittenti a pagamento rispetto alle emittenti in chiaro.».  In
sostanza, si afferma nella pronuncia pregiudiziale che «nel ricercare
una tutela equilibrata degli  interessi  finanziari  delle  emittenti
televisive e degli interessi dei  telespettatori  nel  settore  della
pubblicita' televisiva, il legislatore nazionale ha potuto stabilire,
senza violare il  principio  della  parita'  di  trattamento,  limiti
diversi all'affollamento pubblicitario orario a seconda che si tratti
di emittenti a pagamento o di emittenti in chiaro.». Di qui l'avviso,
in risposta alla prima questione, per cui «l'articolo 4, paragrafo 1,
della direttiva sui servizi di media audiovisivi nonche' il principio
della parita' di trattamento  e  l'articolo  56  TFUE  devono  essere
interpretati nel senso che essi non ostano, in linea di  massima,  ad
una  normativa  nazionale,  come  quella  di  cui   al   procedimento
principale,  la  quale  prescrive  limiti   orari   di   affollamento
pubblicitario piu' bassi per  le  emittenti  televisive  a  pagamento
rispetto a quelli stabiliti per le emittenti  televisive  in  chiaro,
sempre  che  sia  rispettato  il   principio   di   proporzionalita',
circostanza che dev'essere verificata dal giudice del rinvio.» 
    La seconda questione posta e' stata considerata irricevibile. 
    Sky ha quindi riassunto il  giudizio  rappresentando  il  proprio
interesse alla prosecuzione della causa, permanendo in particolare la
necessita' di analizzare se il c.d. decreto «Romani» sia, nella parte
in discussione, costituzionalmente legittimo. 
    Il vaglio del profilo concernente la legittimita'  costituzionale
della  disposizione  in  forza  della  quale  risulta   adottato   il
provvedimento impugnato e' ovviamente un antecedente logico  rispetto
ad ogni altra questione pure puntualmente riproposta dalla ricorrente
dopo la pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia. 
    In  particolare,  sono  riproposti  gli  argomenti  gia'  innanzi
ricordati e relativi, innanzitutto, alla denunciata non conformita' a
Costituzione dell'art. 38 comma 5 del decreto legislativo  31  luglio
2005 n. 177 per violazione dell'art. 76 Cost.,  sia  per  eccesso  di
delega rispetto all'oggetto che per violazione  dei  principi  e  dei
criteri  direttivi  stabiliti  dalla  legge   di   delega,   altresi'
rilevandosi la illegittimita' costituzionale della  norma  richiamata
per  violazione  dei  parametri  costituzionali  di   uguaglianza   e
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.,  del  diritto  di  iniziativa
economica privata  di  cui  all'art.  41  Cost.,  delle  disposizioni
costituzionali in materia di pluralismo di cui all'art. 21 Cost. e di
tutela della concorrenza di cui all'art. 117,  comma  2,  lettera  e)
Cost. 
    Che la questione posta sia rilevante  e'  fuor  di  ogni  dubbio,
atteso che nello stesso provvedimento impugnato  si  afferma  che  la
decisione e' stata assunta dall'Agcom in applicazione della misura di
differenziazione dei limiti di  affollamento  pubblicitario  prevista
dall'art. 38 comma 5 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. 
    Quanto alla non  manifesta  infondatezza  della  stessa,  occorre
muovete dal profilo che appare essere un antecedente logico, peraltro
come  tale  prospettato  dalla  stessa   ricorrente,   quello   della
violazione dell'art. 76 Cost. per eccesso di delega. 
    L'art. 1 della legge comunitaria 2008, legge 7 luglio 2009 n. 88,
delega il Governo «ad adottare, entro  la  scadenza  del  termine  di
recepimento fissato dalle singole direttive,  i  decreti  legislativi
recanti le  norme  occorrenti  per  dare  attuazione  alle  direttive
comprese negli elenchi di cui agli allegati A e  B.»  Nell'elenco  di
cui  al  citato  allegato  B  e'  appunto  ricompresa  la   direttiva
«2007/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11  dicembre
2007, che modifica la direttiva 89/552/CEE del Consiglio relativa  al
coordinamento di determinate disposizioni legislative,  regolamentari
e amministrative degli Stati  membri  concernenti  l'esercizio  delle
attivita' televisive». 
    Il successivo art. 2 della legge n. 88/2009 detta i principi e  i
criteri direttivi generali della delega, all'uopo stabilendo che  «1.
Salvi gli specifici principi  e  criteri  direttivi  stabiliti  dalle
disposizioni di cui ai  capi  II  e  IV,  ed  in  aggiunta  a  quelli
contenuti nelle direttive da attuare, i decreti  legislativi  di  cui
all'articolo  1  sono  informati  ai  seguenti  principi  e   criteri
direttivi generali: 
        a) le  amministrazioni  direttamente  interessate  provvedono
all'attuazione dei decreti legislativi  con  le  ordinarie  strutture
amministrative, secondo il principio  della  massima  semplificazione
dei procedimenti e delle modalita' di organizzazione e  di  esercizio
delle funzioni e dei servizi; 
        b) ai fini di un migliore  coordinamento  con  le  discipline
vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare,
sono introdotte le occorrenti modificazioni alle  discipline  stesse,
fatti salvi i procedimenti oggetto di semplificazione  amministrativa
ovvero le materie oggetto di delegificazione; 
        c) al di fuori dei casi previsti dalle norme penali  vigenti,
ove  necessario  per  assicurare  l'osservanza   delle   disposizioni
contenute   nei   decreti   legislativi,   sono   previste   sanzioni
amministrative e penali  per  le  infrazioni  alle  disposizioni  dei
decreti stessi.  Le  sanzioni  penali,  nei  limiti  rispettivamente,
dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, sono
previste, in via alternativa o congiunta, solo nei  casi  in  cui  le
infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente
protetti.  In  tali  casi  sono  previste:   la   pena   dell'ammenda
alternativa all'arresto per le infrazioni che espongono a pericolo  o
danneggiano l'interesse protetto; la pena  dell'arresto  congiunta  a
quella  dell'ammenda  per  le  infrazioni  che  recano  un  danno  di
particolare gravita'. Nelle predette ipotesi, in luogo dell'arresto e
dell'ammenda, possono essere previste anche le  sanzioni  alternative
di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28  agosto
2000, n. 274, e la  relativa  competenza  del  giudice  di  pace.  La
sanzione amministrativa del pagamento di una somma  non  inferiore  a
150 euro e non superiore a 150.000 euro e' prevista per le infrazioni
che ledano  o  espongano  a  pericolo  interessi  diversi  da  quelli
indicati nei periodi precedenti.  Nell'ambito  dei  limiti  minimi  e
massimi previsti, le sanzioni indicate nella  presente  lettera  sono
determinate  nella  loro  entita',  tenendo   conto   della   diversa
potenzialita' lesiva dell'interesse protetto che ciascuna  infrazione
presenta in astratto, di specifiche qualita' personali del colpevole,
comprese quelle che  impongono  particolari  doveri  di  prevenzione,
controllo  o  vigilanza,  nonche'  del  vantaggio  patrimoniale   che
l'infrazione puo' recare al colpevole ovvero alla persona o  all'ente
nel cui interesse egli agisce. Entro i limiti di pena indicati  nella
presente  lettera  sono  previste   sanzioni   identiche   a   quelle
eventualmente gia'  comminate  dalle  leggi  vigenti  per  violazioni
omogenee  e  di  pari  offensivita'  rispetto  alle  infrazioni  alle
disposizioni  dei  decreti  legislativi.   Nelle   materie   di   cui
all'articolo 117,  quarto  comma,  della  Costituzione,  le  sanzioni
amministrative sono determinate dalle  regioni.  Le  somme  derivanti
dalle sanzioni di nuova istituzione, stabilite  con  i  provvedimenti
adottati in attuazione della presente legge, sono versate all'entrata
del bilancio dello Stato  per  essere  riassegnate,  entro  i  limiti
previsti  dalla  legislazione  vigente,  con  decreti  del   Ministro
dell'economia  e  delle  finanze,  alle  amministrazioni   competenti
all'irrogazione delle stesse; 
        d) eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non
riguardano l'attivita'  ordinaria  delle  amministrazioni  statali  o
regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti  le
norme necessarie per dare attuazione alle direttive, nei soli  limiti
occorrenti per  l'adempimento  degli  obblighi  di  attuazione  delle
direttive stesse; alla relativa  copertura,  nonche'  alla  copertura
delle minori entrate eventualmente  derivanti  dall'attuazione  delle
direttive, in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi  gia'
assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a  carico  del
fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile  1987,
n. 183; 
        e) all'attuazione  di  direttive  che  modificano  precedenti
direttive gia'  attuate  con  legge  o  con  decreto  legislativo  si
procede, se la modificazione non comporta ampliamento  della  materia
regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o  al
decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata; 
        f) nella predisposizione dei  decreti  legislativi  si  tiene
conto  delle  eventuali  modificazioni  delle  direttive  comunitarie
comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega; 
        g) quando si verifichino sovrapposizioni  di  competenze  tra
amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le  competenze  di
piu' amministrazioni  statali,  i  decreti  legislativi  individuano,
attraverso le piu' opportune forme di  coordinamento,  rispettando  i
principi di sussidiarieta',  differenziazione,  adeguatezza  e  leale
collaborazione e le competenze  delle  regioni  e  degli  altri  enti
territoriali, procedure per salvaguardare l'unitarieta' dei  processi
decisionali, la trasparenza, celerita', l'efficacia e  l'economicita'
nell'azione amministrativa e la chiara  individuazione  dei  soggetti
responsabili; 
        h)  quando  non  siano  d'ostacolo  i  diversi   termini   di
recepimento,  sono  attuate  con  un  unico  decreto  legislativo  le
direttive che riguardano le stesse materie o che comunque  comportano
modifiche degli stessi atti normativi.». 
    Ma e' l'art. 26 della legge comunitaria 2008 la disposizione  che
reca in maniera puntuale delega al  Governo  per  l'attuazione  della
direttiva  2007/65/CE,  in  sostanza  dettando  i  criteri  specifici
appunto  relativi  a  detta  direttiva,  stabilendo  che  «1.   Nella
predisposizione  del  decreto  legislativo  per  l'attuazione   della
direttiva 2007/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,  dell'11
dicembre 2007, che modifica la direttiva  89/552/CEE  del  Consiglio,
relativa al coordinamento di  determinate  disposizioni  legislative,
regolamentari  e  amministrative  degli  Stati   membri   concernenti
l'esercizio  delle  attivita'  televisive,  attraverso  le  opportune
modifiche al testo unico della radiotelevisione, di  cui  al  decreto
legislativo 31 luglio 2005, n. 177, il Governo e' tenuto  a  seguire,
oltre ai principi e criteri direttivi di cui all'articolo 2, anche  i
seguenti principi e criteri direttivi: 
        a) l'inserimento di prodotti e' ammesso nel rispetto di tutte
le condizioni e i divieti previsti dall'art. 3-octies, paragrafi 2, 3
e  4,  della  direttiva  89/552/CEE,  come  introdotto  dalla  citata
direttiva 2007/65/CE; 
        b) per le violazioni delle condizioni e dei  divieti  di  cui
alla lettera a) si applicano le sanzioni  previste  dall'articolo  51
del testo unico di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177,
per la violazione  delle  disposizioni  in  materia  di  pubblicita',
sponsorizzazione e televendite, fatto salvo il divieto di inserimento
di prodotti nei programmi per  bambini,  per  la  cui  violazione  si
applica la sanzione di cui all'articolo 35,  comma  2,  del  medesimo
decreto legislativo 31 luglio 2005, n.177.». 
    Grazie  al  richiamo  dell'art.  2  della  legge  comunitaria  ai
principi contenuti nelle direttive da  attuare,  puo'  allora  essere
utile richiamare alcuni considerando della direttiva di cui trattasi.
Dispone il 57° considerando che «Date le  maggiori  possibilita'  per
gli spettatori di evitare la pubblicita' grazie al  ricorso  a  nuove
tecnologie  quali   i   videoregistratori   digitali   personali   ed
all'aumento della  scelta  di  canali,  non  si  giustifica  piu'  il
mantenimento di una normativa dettagliata in materia  di  inserimento
di  spot  pubblicitari  a  tutela  dei  telespettatori.  La  presente
direttiva, pur senza prevedere un aumento della quantita'  oraria  di
pubblicita' consentita, dovrebbe lasciare alle  emittenti  televisive
la  facolta'  di  scegliere  quando  inserirla  la'  dove  cio'   non
pregiudichi indebitamente l'integrita' dei programmi.». 
    Ancora in tema «pubblicita'», il 58° considerando  chiarisce  che
la «direttiva mira  a  salvaguardare  il  carattere  specifico  della
televisione  europea,  in  cui  la  pubblicita'  e'   preferibilmente
inserita  tra  un  programma  e  l'altro,  e  limita,  pertanto,   le
interruzioni autorizzate delle  opere  cinematografiche  e  dei  film
prodotti per la televisione, nonche' le interruzioni  di  determinate
categorie di programmi  che  necessitano  ancora  di  una  protezione
particolare.». E cosi'  il  59°  considerando:  «La  limitazione  che
esisteva della quantita' di pubblicita' televisiva giornaliera era in
larga misura teorica. Il limite orario e' piu' importante  in  quanto
si applica anche nelle ore di maggiore ascolto. Il limite  quotidiano
dovrebbe pertanto essere abolito, mentre dovrebbe essere mantenuto il
limite orario per spot di televendita e pubblicita' televisiva.  Data
la maggiore possibilita' di scelta a disposizione dei telespettatori,
non appaiono piu' giustificate le limitazioni  di  tempo  imposte  ai
canali di televendita o pubblicitari. Resta, tuttavia, in  vigore  il
limite del 20% per gli spot televisivi pubblicitari e di  televendita
per ora d'orologio.  La  nozione  di  spot  televisivo  pubblicitario
dovrebbe  essere  intesa  come  pubblicita'  televisiva,   ai   sensi
dell'articolo  1,  lettera  i),  della  direttiva   89/552/CEE   come
modificata dalla presente direttiva, della durata massima  di  dodici
minuti.» E quindi, al 65° considerando, si rileva che  «Conformemente
agli obblighi imposti dal trattato agli  Stati  membri,  questi  sono
responsabili  dell'attuazione  e  dell'applicazione  efficace   della
presente direttiva. Essi  sono  liberi  di  scegliere  gli  strumenti
appropriati in funzione delle loro rispettive tradizioni giuridiche e
delle strutture istituite, segnatamente la forma dei loro  competenti
organismi di regolamentazione indipendenti,  per  poter  svolgere  il
proprio lavoro, nell'attuazione della  presente  direttiva,  in  modo
imparziale e trasparente. Piu'  precisamente,  gli  strumenti  scelti
dagli  Stati  membri  dovrebbero  contribuire  alla  promozione   del
pluralismo dei mezzi  di  comunicazione.»  Il  tutto  avuto  riguardo
all'obiettivo stesso della direttiva che, giusta quanto espressamente
posto nel 67° considerando, e' da  individuare  nella  «creazione  di
un'area senza frontiere interne per i servizi di  media  audiovisivi,
assicurando al contempo un elevato livello di protezione di obiettivi
di interesse generale, in particolare la tutela dei  minori  e  della
dignita' umana, nonche' la promozione dei diritti delle  persone  con
disabilita'...». L'articolato, quindi, della direttiva reca  puntuali
disposizioni in tema di «pubblicita' televisiva e televendita»  senza
nulla disporre in punto di differenziazioni nei tetti di affollamento
pubblicitario tra  emittenti  televisive  a  pagamento  ed  emittenti
televisive in chiaro. 
    Cio'  detto,  con  decreto  legislativo  15  marzo  2010,  n.  44
(G.U.R.I. 29 marzo 2010,  n.  73),  e'  stata  data  attuazione  alla
direttiva 2007/65/CE esercitando la delega ora ricordata. Per  quanto
qui interessa, l'art. 12 del citato decreto legislativo ha sostituito
l'art. 38 del d.lgs. n. 177/2005, stabilendo  i  seguenti  limiti  di
affollamento  pubblicitario   «1.   La   trasmissione   di   messaggi
pubblicitari da parte  della  concessionaria  del  servizio  pubblico
generale radiotelevisivo non puo' eccedere il 4 per cento dell'orario
settimanale di programmazione  ed  il  12  per  cento  di  ogni  ora;
un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al  2  per  cento  nel
corso di  un'ora,  deve  essere  recuperata  nell'ora  antecedente  o
successiva. 
    2. La trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte delle
emittenti in chiaro, anche analogiche, in ambito  nazionale,  diverse
dalla concessionaria del servizio pubblico generale  radiotelevisivo,
non  puo'  eccedere  il  15  per  cento  dell'orario  giornaliero  di
programmazione ed il 18 per cento di una determinata e  distinta  ora
d'orologio, un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al  2  per
cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente
o successiva[...]; 
    5. La trasmissione di spot pubblicitari televisivi  da  parte  di
emittenti a pagamento, anche analogiche, non puo' eccedere per l'anno
2010 il 16 per cento, per l'anno 2011 il 14 per cento, e, a decorrere
dall'anno 2012, il 12 per cento di una  determinata  e  distinta  ora
d'orologio; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al  2  per
cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente
o successiva [...]». 
    In precedenza, era stabilito che «1. La trasmissione di  messaggi
pubblicitari da parte  della  concessionaria  del  servizio  pubblico
generale radiotelevisivo non puo' eccedere il 4 per cento dell'orario
settimanale di programmazione  ed  il  12  per  cento  di  ogni  ora;
un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al  2  per  cento  nel
corso di  un'ora,  deve  essere  recuperata  nell'ora  antecedente  o
successiva. 
    2. La trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte delle
emittenti e dei fornitori di contenuti televisivi in ambito nazionale
diversi  dalla  concessionaria   del   servizio   pubblico   generale
radiotelevisivo  non  puo'  eccedere  il  15  per  cento  dell'orario
giornaliero di programmazione  ed  il  18  per  cento  di  ogni  ora,
un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al  2  per  cento  nel
corso di  un'ora,  deve  essere  recuperata  nell'ora  antecedente  o
successiva [...].». 
    E' agevole rilevare che il nuovo art. 38 del testo unico,  mentre
lascia invariati i limiti  di  affollamento  pubblicitario  da  parte
della  concessionaria  del  servizio  pubblico,  nonche'   i   limiti
giornaliero  e  orario  per  la  trasmissione  di  spot  pubblicitari
televisivi da parte delle emittenti commerciali in chiaro, stabilisce
invece nuovi limiti orari per le emittenti commerciali a pagamento. 
    Ma soprattutto, introduce per la prima volta una differenziazione
tra emittenti  commerciali  in  chiaro  ed  emittenti  commerciali  a
pagamento ai fini che qui interessano. 
    Orbene, ad avviso del Collegio il  legislatore  delegato  non  e'
stato facoltizzato ad introdurre alcuna modifica ulteriore rispetto a
quelle previste dalla stessa direttiva  2007/65/CE.  Cio'  in  quanto
l'ambito della delega risulta, in ragione  di  quanto  si  e'  visto,
espressamente circoscritto alle modifiche che la direttiva  del  2007
ha apportato alla direttiva del 1989. Tanto e'  vero  che  lo  stesso
legislatore delegato ha proceduto a mezzo di modifiche  apportata  al
decreto legislativo 31 luglio 2005 n. 177, Testo unico dei servizi di
media audiovisivi e radiofonici, nel  quale  era  stata  trasfusa  la
disciplina di attuazione della direttiva del  1989.  Non  a  caso  la
stessa legge delega ha posto la regola per cui  all'attuazione  della
direttiva, che modifica precedente direttiva. gia' attuata con  legge
o  decreto  legislativo,  si  procede  apportando  le  corrispondenti
modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della
direttiva modificata «se la modificazione  non  comporta  ampliamento
della materia regolata» (art. 2  comma  1,  lettera  e)  della  legge
delega). 
    Di contro, la previsione di  limiti  piu'  bassi  a  danno  delle
emittenti. a pagamento e' misura del tutto «innovativa» e soprattutto
non giustificata da alcuna previsione ne' da alcuna  ratio  implicita
tanto della direttiva da attuare che della stessa legge delega. 
    Come rileva condivisibilmente la ricorrente, la natura innovativa
della norma preclude anche  la  possibilita'  di  ricondurla  ad  una
ipotesi di delega di coordinamento. Tali ipotesi sono infatti ammesse
dalla giurisprudenza costituzionale solo in via  strumentale,  quando
sia  necessario  coordinare  la  normativa  previgente   con   quella
introdotta con la legge di delega, mentre resta  sicuramente  esclusa
la possibilita' di introdurre per questa via innovazioni  sostanziali
alla disciplina. 
    La «revisione», o il «riordino»,  in  quanto  possono  comportare
l'introduzione di innovazioni della preesistente disciplina,  esigono
comunque la previsione di principi  e  criteri  direttivi,  idonei  a
circoscrivere le scelte discrezionali del Governo. 
    Occorre, infatti, ricordare che, come insegna  la  giurisprudenza
della Corte costituzionale (cfr., da ultimo,  Corte  cost.  30  marzo
2012 n.  75),  in  merito  ai  rapporti  fra  legge  delega  e  norma
attuativa,  «il   sindacato   di   costituzionalita'   sulla   delega
legislativa deve essere svolto attraverso "un confronto tra gli esiti
di due processi ermeneutici paralleli  concernenti,  rispettivamente,
la norma delegante (al fine di individuarne l'esatto  contenuto,  nel
quadro dei principi e criteri direttivi e del contesto in cui  questi
si collocano, nonche' delle ragioni e finalita' della medesima) e  la
norma delegata, da interpretare nel  significato  compatibile  con  i
principi ed i criteri  direttivi  della  delega»  (cfr.  anche  Corte
costituzionale n. 293 del 2010, n. 112 del 2008, n. 341, n. 340 e  n.
170 del 2007). L'esame del vizio di  eccesso  di  delega  impone  che
l'interpretazione dei principi e dei criteri direttivi sia effettuata
in riferimento alla ratio  della  legge  delega,  tenendo  conto  del
contesto normativo  in  cui  sono  inseriti  e  delle  finalita'  che
ispirano complessivamente la delega ed in particolare i principi e  i
criteri direttivi specifici.  In  tale  processo,  in  definitiva  «i
principi posti dal Legislatore delegante costituiscono  non  solo  la
base  e  il  limite  delle   norme   delegate,   ma   strumenti   per
l'interpretazione della portata delle stesse»  (sentenza  n.  96  del
2001). 
    Non disconosce il  Collegio  l'avviso  del  Giudice  delle  leggi
secondo cui la delega legislativa non esclude  ogni  discrezionalita'
del Legislatore delegato, che puo'  essere  piu'  o  meno  ampia,  in
relazione al grado di specificita' dei criteri  fissati  nella  legge
delega (ordinanze n. 213 del 2005 e n. 490 del 2000 e  che  pertanto,
per valutare se il Legislatore abbia ecceduto tali - piu' o meno ampi
- margini di discrezionalita', occorre  individuare  la  ratio  della
delega, per verificare se la norma delegata sia con  questa  coerente
(sentenza n. 199 del  2003).  L'art.  76  Cost.  non  osta,  infatti,
all'emanazione di norme che rappresentino un ordinario sviluppo e, se
del caso, un completamento  delle  scelte  espresse  dal  Legislatore
delegante, poiche' deve escludersi che la  funzione  del  Legislatore
delegato sia  limitata  ad  una  mera  scansione,  linguistica  delle
previsioni stabilite dal primo; dunque, nell'attuazione della  delega
e' possibile valutare le situazioni giuridiche  da  regolamentare  ed
effettuare le conseguenti  scelte,  nella  fisiologica  attivita'  di
riempimento che lega i due livelli normativi  (sentenze  n.  199  del
2003, cit., n. 163 del 2000). Il  fatto  e'  che,  nella  specie,  la
misura «innovativa» introdotta non e' veicolabile quale operazione di
«completamento» ovvero di  «riempimento»  e  dunque,  ad  avviso  del
Collegio, non appare consentita al legislatore delegato  avuto  anche
riguardo alla ratio complessiva della delega in uno con  il  richiamo
alla puntualita' dei suoi criteri  e  principi  direttivi.  In  altri
termini,  la   richiamata   disposizione   «innovativa»   non   trova
«ancoraggio» alcuno nella legge delega, anzi risultando  adottata  in
violazione dei principi e criteri direttivi della stessa. 
    Il Tribunale  dubita  dunque  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 38, comma 5 del decreto legislativo 31 luglio 2005 n,  177,
come sostituito dall'art. 12 del decreto legislativo 10 marzo 2010 n.
44 sollevando pertanto la relativa questione dinanzi alla Corte delle
leggi. 
    Analoghe conclusioni vanno affermate, con riferimento  ovviamente
alla medesima disposizione, per quanto concerne altri  due  specifici
profili di illegittimita' costituzionale dedotti dalla ricorrente.  E
cio' sia con riferimento al denunciato contrasto con l'art. 3  Cost.,
quanto con la citata disposizione e' introdotta nell'ordinamento  una
differenziazione ingiustificata tra i  tetti  orari  di  affollamento
pubblicitario applicabili alle emittenti  televisive  a  pagamento  e
quelli applicabili alle emittenti televisive  in  chiaro,  attesa  in
particolare la unicita' del mercato in cui le stesse operano che  con
riferimento all'art. 41  Cost.,  incidendo  oggettivamente  la  norma
sulla liberta' di iniziativa economica  dell'emittente  televisiva  a
pagamento in difetto di una chiara ed  inequivoca  finalita'  sociale
atta a giustificare la misura normativa in questione. 
    Non  meritano  condivisione,  invece,  gli   assunti   di   parte
ricorrente in ordine al  ravvisato  contrasto  anche  con  l'art.  21
Cost., non essendo compiutamente esplicato come la  misura  normativa
in questione  impatti  negativamente  sul  principio  di  tutela  del
pluralismo e cosi' pure per il paventato  contrasto  con  l'art.  117
comma 2 lettera  e)  Cost.  che  e'  disposizione  attributiva  della
competenza esclusiva nella materia di  che  trattasi  al  legislatore
statale. 
    In definitiva, per le ragioni dianzi  esposte,  questo  Tribunale
solleva  la  questione  di   legittimita'   costituzionale,   poiche'
rilevante e non manifestamente infondata, dell'art. 38  comma  5  del
decreto legislativo 31 luglio 2005 n. 177, come modificato  dall'art.
12 del decreto legislativo 15 marzo 2010 n.  44,  in  relazione  agli
artt. 76, 3 e 41 Cost.. 
    Ogni ulteriore decisione, anche sulle spese,  e'  riservata  alla
pronuncia definitiva.